venerdì, 26, Aprile 2024
il mio condominio

Il Condominio

Il condominio è disciplinato dal codice civile italiano. La legge 11 dicembre 2012 n. 220 (“Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”), entrata in vigore il 18 giugno 2013, ha riformato alcuni aspetti della materia, recependo gran parte della giurisprudenza e svecchiando la disciplina dell’istituto.

In base all’art. 1117 c.c., sono parti comuni dell’edificio, se il contrario non risulta dal titolo: le scale, l’atrio, le facciate, il suolo su cui sorge l’edificio, i muri maestri, ecc.; ed in base all’art. 1118 c.c. il condomino ha la possibilità di rinunciare all’utilizzo delle parti comuni, come l’impianto di riscaldamento e di condizionamento, qualora dalla sua rinuncia non derivino notevoli squilibri di funzionamento né aggravi di spesa per gli altri condomini. Tale comunione è forzosa, ossia un proprietario non può rinunciare al diritto su tali parti comuni per sottrarsi al pagamento delle spese (art. 1118, comma 2, c.c.).

Il rapporto tra il valore della proprietà di ciascun condomino e il valore dell’intero condominio è espresso in millesimi (che, per praticità, sono riportati in apposite tabelle millesimali). Le tabelle millesimali si utilizzano per la ripartizione delle spese condominiali, per la determinazione delle maggioranze di costituzione delle assemblee e per le votazioni delle delibere.

Regolamento condominiale

È obbligatorio redigere il regolamento condominiale, se vi sono più di 10 condomini. Il regolamento può essere contrattuale o assembleare. Nel caso di regolamento condominiale contrattuale, il documento nella quasi totalità dei casi è stato predisposto dal costruttore dell’immobile o del gruppo di immobili, e depositato da un notaio per la trascrizione presso la locale conservatoria dei registri immobiliari (presso il catasto).

Il regolamento contrattuale si differenzia dal regolamento non contrattuale (o assembleare cd approvato a maggioranza) in quanto può contenere limitazioni al diritto di proprietà di alcuni condomini, costituzioni di servitù, assegnazione o destinazioni d’uso di parti comuni a un numero ristretto di condomini o per finalità ben definite (ad es. destinazione dell’abitazione per il portiere); le norme di tale documento possono infatti essere modificate solo con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio; quando si acquista una proprietà nel condominio retto da tale tipo di regolamento, lo stesso viene automaticamente accettato dal neo-acquirente, in quanto trascritto presso la conservatoria.

Il regolamento predisposto dall’originario proprietario e/o costruttore dell’edificio è vincolante per gli acquirenti delle singole unità abitative solo se il relativo acquisto è fatto in epoca successiva alla predisposizione del regolamento stesso: infatti se nell’atto di acquisto fosse previsto l’obbligo di rispettare il regolamento da redigersi in futuro risulta evidente che viene a mancare uno schema negoziale definitivo; in quest’ipotesi diventa suscettibile di essere compreso per comune volontà delle parti nell’oggetto del contratto, pertanto il regolamento può vincolare l’acquirente solo se, successivamente alla sua redazione, vi presti volontaria adesione. Il regolamento approvato dall’assemblea condominiale con maggioranza qualificata, invece, può contenere solo norme che regolano la vita comune dei partecipanti al condominio, ossia non può limitare l’esercizio libero del diritto di proprietà da parte dei condomini (ad esempio il regolamento contrattuale originario può vietare la destinazione d’uso degli appartamenti per attività commerciali; ma non a seguito di una modifica dello stesso approvata a maggioranza).

L’articolo 1138 del codice civile dispone che le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.

In merito alla disciplina sugli animali domestici bisogna distinguere il caso in cui tale divieto sia inserito in un regolamento assembleare, da quello in cui è inserito in un contratto a scopo di locazione.

Organi

Gli organi del condominio sono l’amministratore di condominio e l’assemblea di condominio. Il condominio sorge automaticamente quando in un edificio i proprietari sono o diventano due o più (es. l’originario unico proprietario vende un edificio a due acquirenti).

Si parla di condominio minimo quando i condomini sono due. Se i proprietari sono più di otto, è obbligatoria la nomina di un amministratore; non sono previste sanzioni in caso di inadempienza a questa norma, se non la possibilità della nomina di un amministratore giudiziario, a opera del Tribunale, su istanza anche di un solo condomino. Se i proprietari non sono più di quattro, possono provvedere direttamente alla gestione.

Si parla di supercondominio quando vi è una pluralità di strutture singolarmente identificabili come singoli condomini e con parti in comune tra di esse. Non sempre è facile distinguere la natura giuridica dell’edificio perché spesso pur essendo in una realtà di supercondominio, l’intera struttura viene amministrata come singolo condominio, creando non pochi problemi di logistica e di disciplina giuridica applicata.

Amministratore

L’amministratore può essere revocato dal tribunale ordinario, su istanza di almeno un condomino, quando vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità nella gestione, quando non rende il conto per due anni consecutivi o quando, essendogli stato notificato un atto di citazione, non ne informa tempestivamente l’assemblea dei condomini.L’amministratore è l’organo che esegue le deliberazioni dell’assemblea, riscuote i contributi dai condomini ed eroga le spese occorrenti per la gestione e la manutenzione, redige il rendiconto annuale (Bilancio condominiale), rappresenta il condominio nei procedimenti giudiziari nei quali è parte. Questi dura in carica un anno, ma può essere revocato in ogni momento, salvi i danni. Nomina, revoca e determinazione della retribuzione dell’amministratore spettano all’assemblea con la maggioranza dei presenti (anche per delega) all’assemblea che rappresentino <un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio> (art. 1136 2° comma).

Importante sottolineare la durata annuale che a seguito della riforma del 2012 ha portato ad interpretazioni distinte. L’interpretazione più conforme agli interessi della compagine assembleare vuole costante la durata annuale dell’incarico.

Assemblea

L’assemblea di condominio, nell’ordinamento giuridico italiano, è l’organo deliberante del condominio, disciplinato dagli art. 1135, 1136 e 1137 del codice civile italiano. Hanno diritto di partecipare all’assemblea tutti i condomini, che devono essere avvisati in maniera certa almeno 5 giorni prima, attraverso posta raccomandata o mail certificata. L’assemblea decide sul regolamento di condominio, sulla nomina dell’amministratore, sulla gestione ordinaria e straordinaria del condominio. L’assemblea si esprime a maggioranza, che può variare a seconda di quello che viene votato.

Obblighi fiscali

Il condominio in quanto sostituto d’imposta è tenuto a importanti adempimenti fiscali: effettuare e versare ritenute di acconto ogni qualvolta corrisponda compensi in denaro o in natura soggetti alle ritenute stesse con rilascio della relativa certificazione, nonché presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta (Modello 770). È pertanto necessario che il condominio abbia un codice fiscale. Questo deve essere richiesto dall’amministratore all’Agenzia delle Entrate presentando i suoi dati personali e il verbale dell’assemblea in cui risulta la sua nomina. In caso di sostituzione dell’amministratore del condominio sarà cura del nuovo rappresentante comunicare la variazione.

L’obbligo di effettuare le ritenute si verifica, ad esempio, in caso di corresponsione di somme o valori che costituiscono redditi di lavoro dipendente, come quelli pagati al portiere dello stabile o all’incaricato della pulizia, se quest’ultimo ha un rapporto di lavoro dipendente, ovvero in caso di pagamenti di somme o valori che sono redditi di lavoro autonomo, come quelli pagati all’amministratore stesso (anche se a titolo di rimborso forfettario di spese), o sulle corresponsioni di compensi relativi a contratti di appalto di opere e/o servizi. Per i condomìni, con non più di otto condòmini, privi di amministratore, le ritenute dovranno essere effettuate da uno qualunque dei condòmini. Egli, utilizzando il codice fiscale del condominio, provvederà ad applicare le ritenute alla fonte, a effettuarne i relativi versamenti e a presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta per le ritenute, i contributi e i premi assicurativi.

Diversamente, per i condomini con più di otto condòmini, per i quali c’è l’obbligo di nominare l’amministratore e per quelli con non più di otto condòmini che hanno provveduto a nominare l’amministratore, il soggetto normalmente incaricato dal condominio a porre in essere gli adempimenti delle funzioni di sostituto d’imposta è l’amministratore, già tenuto a comunicare gli acquisti effettuati nell’anno solare e i dati dei relativi fornitori nonché, in forza di altre disposizioni di legge a eseguire gli adempimenti previsti in materia contributiva nei confronti degli istituti previdenziali. Gli uffici dell’Agenzia delle Entrate possono, inoltre, richiedere agli amministratori di condominio dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale. L’obbligo di effettuare le ritenute si applica anche al supercondominio e al condominio parziale.

In tali ipotesi, ove sia ravvisabile una gestione autonoma delle parti interessate tale da richiedere adempimenti nettamente separati da quelli assolti dal condominio generale, il supercondominio e il condominio parziale rilevano come distinti sostituti d’imposta e hanno l’obbligo di richiedere un proprio codice fiscale.

Gli obblighi di sostituzione d’imposta, invece, non si applicano:

  • alle comunioni ereditarie sugli immobili anche quando più coeredi sono comproprietari in parti uguali dell’intero stabile;
  • alle comunioni diverse da quelle che si costituiscono forzosamente sulle parti comuni degli edifici.

Infatti, in entrambi i casi, non si è di fronte a più proprietari di diverse unità, così da avere delle parti comuni a tutti, bensì a una pluralità di soggetti indistintamente proprietari di tutto lo stabile, ivi comprese le parti comuni.

Ripartizione delle spese

Le spese condominiali sono distinte in: ordinarie (pulizia delle scale, ascensore, giardino, portineria, illuminazione delle parti comuni, vuotatura fosse biologiche e pulizie degrassatori, riscaldamento centralizzato) e straordinarie (rifacimento del tetto e dei solai, tinteggiatura della facciata del palazzo). Se il contratto di locazione non prescrive altrimenti, sono a carico degli inquilini gli oneri per la manutenzione ordinaria, sono a carico dei proprietari gli oneri per la manutenzione straordinaria.

Ogni voce di spesa può essere teoricamente ripratita fra i condomini secondo una tabella millesimale dedicata.
Un’apposita tabella millesimale per la ripartizione delle spese (ordinarie e straordinarie) di riscaldamento può eventualmente computare il fatto che il condomino sottoutilizza l’impianto condominiale, fino al caso limite di disporre di un contatore e allacciamento proprio non condominiale, tale da azzerare completamente l’obbligo di compartecipazione a tale tipo di onere.

Spese per riscaldamento

Il riscaldamento è spesso una delle voci di spesa più rilevanti. Se il riscaldamento condominiale è centralizzato, l’installazione di un contabilizzatore permette di ripartire parte delle spese in base ai consumi effettivamente registrati per ogni unità immobiliare, anziché in base ai millesimi di riscaldamento.

La termoregolazione e contabilizzazione individuale del calore sono obbligatorie in tutta la UE in base alla direttiva 2012/27/UE art. 9 (anticipata per il settore residenziale dalla Direttiva 2010/31/UE «EPBD recast»), entro il 31/12/2016: l’Italia ha recepito la direttiva con decreto Lgs. n. 102 del 4 luglio 2014, che impone nei condomini con impianti di riscaldamento centralizzato in tutta Italia l’obbligo di installazione di termovalvole e contabilizzatori di calore entro il 31 dicembre 2016. a ciò si aggiungono e sovrappongono due precedenti norme regionali di Piemonte e Lombardia.
Già l’articolo 26, comma 5, della legge 10/1991 (come modificiata dai d. lgs. 192/2005 e 311/2006) prevede che la spesa deve essere ripartita in base ai consumi effettivi. Ora, la nuova norma dispone che l’importo complessivo deve essere suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto, secondo quanto previsto dalla norma tecnica UNI 10200 del 2013, che è l’unica in vigore per la ripartizione delle spese di riscaldamento.

Il condominio deve dotarsi di una nuova apposita tabella millesimale per la ripartizione delle spese di riscaldamento, o meglio della quota relativa alle spese generali e alla potenza utile dissipata, cui si aggiunge la quota (prevalente) relativa ai consumi di calore.

Dopo l’installazione di tervovalvole e ripartitori, l’amministratore è obbligato a ripartire le spese di riscaldamento non più in base ai millesimi di proprietà, ma unicamente col metodo dei consumi effettivi, in base alla lettura dei ripartitori. Deve essere fatta come minimo una lettura entro la chiusura dell’Esercizio e prima dell’approvazione del bilancio consuntivo condominiale, con relativo conguaglio di spesa fra consumi presunti e consumi rilevati.

I proprietari possono a loro volta ribaltare completamente l’onere di riscaldamento ai propri inquilini in affitto, purché il contratto di locazione registrato (o una successiva integrazione firmata dalle parti e registrata, per quelli già in corso alla data dei lavori) evidenzia le spese condominiali separatamente dal canone di locazione, e dichiara che tali spese sono presunte, e da intendersi salvo conguaglio di fine esercizio per quanto attiene alle spese di riscaldamento.

La spesa di installazione è ammessa nella dichiarazione dei redditi alla detrazione IRPEF del 50% rimborsata in dieci anni, per i lavori eseguiti dopo gennaio 2015. L’amministratore deve certificare ai condomini la quota versata, ai fini della detrazione.

Dal punto di vista tecnico, la contabilizzazione può essere:

  • diretta con un rilevatore a due sensori (entalpia in entrata ed entalpia in uscita del fluido termovettore) posto esternamente all’immobile se l’impianto descrive un circuito chiuso, non aperto ad altre unità immobiliari;
  • indiretta: su ogni corpo scaldante è installato un ripartitore, un heat meters, con codice identificativo, password di accesso al SW (nota alla ditta installatrice/manutentrice), blocco meccanico e rilevazione elettronica delle manomissioni. L’heat meters può essere a sensore singolo che misura la temperatura del corpo scaldante, oppure a due sensori, se misura anche la temperatura ambiente.

La misura della temperatura ambiente è molto soggetta ad errori (anche intenzionali da parte del conduttore) se sono presenti mensole, coperture o altri diatermici che la fanno risultare più alta, sottostimando il reale consumo di calore. Il problema semplicemente si sposta, se per la rilevazione della temperatura ambiente, viene applicata una sonda di rilevazione a distanza. Quando il sensore è unico, o sussistono errori di rilevazione, la temperatura ambiente può essere dimensionata su un valore fisso, senza rilevazione, in genere pari al massimo di legge (20 °C). Manca una normativa nazionale per l’omologazione dei ripartitori (per approvazione di modello, verifica prima e periodica).

Per un risparmio immediato, l’assemblea condominiale può deliberare l’adozione di valvole termostatiche con una temperatura massima inferiore a quella consentita per legge (ad esempio 15° anziché 20).

Già nel 1991 la legge (art.26 co.5 L.10/91) prevedeva la possibilità di una rilevazione a consuntivo dei consumi, con decisioni prese a maggioranza semplice dall’assemblea condiminiale. Lombardia e Piemonte con legge regionale hanno reso obbligatoria l’installazione di impianti di termoregolazione (valvola termostatica) e contabilizzazione del calore in tutti i condomini.

I consumi possono essere totalizzati mediante collegamento wireless dei ripartitori a dei totalizzatori posti ai singoli piani del condominio, o tramite lettura annuale. L’amministratore di condominio provvede a fine anno a ripartire la spesa.

Con le innovazioni del D.Lgs.311/2006, entrato in vigore il 2 febbraio 2007, la facoltà distacco individuale dall’impianto centralizzato non esiste più. Fino al 2006, in base alla legge n.10/199 art. 26 comma 2, il singolo condomino ha diritto a distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento, senza che questo sia previsto espressamente dal regolamento condiminiale ovvero previa delibera dell’assemblea, restando tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese di manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma. Tale diritto non sussiste se dal suo distacco derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.
Nello stesso senso, muove il DPR 59/2009 del 2-4-2009 (attuazione delle norme europee sul rendimento energetico in edilizia in riferimento al D.Lgs.192/2005) all’art.4 commi 9 e 10, stabilisce poi che la realizzazione di impianti autonomi (anche in esito a distacco individuale) possa essere consentita solo in casi eccezionali, documentati nella relazione energetica, nei quali non sia possibile il riscaldamento centralizzato.

Le norme europee, e quelle in loro recepimento, tengono conto del fattore ambientale, e che a parità di stato dell’arte della tecnologia, una caldaia e un impianto di riscaldamento centralizzato consentono una maggiore efficienza energetica, sia in termini di minore consumo che di emissioni inquinanti (v. anche Cassazione[11]), rispetto ad impianti termoautonomi unifamigliari, oltre al vantaggio di poter controllare più facilmente il suo adeguamento anche alle norme di sicurezza, con controlli periodici.

Responsabilità

Condomini morosi

Nei confronti dei condòmini in ritardo col pagamento delle spese condominiali, dopo 6 mesi dal rendiconto in cui risulta la morosità (entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso.), l’amministratore ha l’obbligo di agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati, cioè richiedere il decreto ingiuntivo, salvo dispensa assembleare (art. 1129 cod. civile), preceduto da eventuale sollecito di pagamento.

In caso di opposizione del condomino moroso al decreto ingiuntivo, grava su questi (Cass. 3 dicembre 2015 n. 24629) l’onere di attivare la procedure di mediazione, obbligatoria come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se l’amministratore e il condomino moroso si accordano con la mediazione per estinguere il credito con il pagamento di una quota parte bassa della somma inizialmente dovuta, e senza una delibera dell’assemblea dei condomini in merito, gli altri condomini su cui verrà ripartita pro quota la differenza, possono citare l’amministratore per danno al condominio.

Sempre il nuovo art. 63 disp. attuative c.c. prevede che “i creditori [del condominio] non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”. Dietro richiesta dei creditori, l’amministratore deve comunicare loro i dati e i nominativi dei condomini morosi: l’amministratore è comunque il primo soggetto tenuto ad agire per il recupero.
Diversamente dal passato il creditore del condominio non può agire verso un condomino qualunque, anche in regola coi pagamenti, che anticipava la somma dovuta dai condomini morosi e poi doveva rivalersi su questi. Con la riforma, anche il creditore del condominio che decide di agire per il recupero del credito, senza attendere gli atti dell’amministratore, deve iniziare l’azione a partire dai condomini morosi.

In ogni caso, i condomini inoltre rispondono in solido per i debiti di quelli morosi per un importo massimo determinato. La Corte di Cassazione a Sezione Unite ha stabilito in via definitiva il principio della parziarietà o pro quota delle obbligazioni condominiali, in sostituzione del principio di responsabilità solidale passiva (Cass. civ., Sez. un., Sentenza 8 aprile 2008, n. 9148).

Responsabilità pro quota non significa che i condomini rispondono esclusivamente per la propria quota di spese condominiali, ossia non per i condomini morosi: significa invece che le somme mancanti per morosità devono essere ripartite, in base ai millesimi di proprietà, fra tutti i condomini, morosi e no.

Pertanto, è illegittimo far anticipare ai soli condomini non morosi l’importo del debito, in quanto questo comporterebbe di addebitare ad altri condomini una quota superiore ai loro millesimi di proprietà, essendo questa maggiorata della quota relativa ai millesimi di proprietà di quelli morosi. Il creditore può esercitare avverso i condomini debitori nei suoi confronti l’azione esecutiva per l’intero importo, d’altronde non può esercitare nei confronti degli altri azioni esecutive per importi superiori al debito dovuto ripartito rispetto ai millesimi di proprietà. L’ingiunzione include interessi legali, spese di sollecito e spese legali. Riguardo spese legali questione da approfondire: È affetta da nullità – e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un condomino, come quella che ponga a suo totale carico le spese del legale del condominio per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza di una sentenza che ne sancisca la soccombenza, e detta nullità, a norma dell’art. 1421 c.c., può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia espresso voto favorevole alla deliberazione, ove con tale voto non si esprima l’assunzione o il riconoscimento di una sua obbligazione, come secondo la sentenza dalla Suprema Corte di Cassazione Civile, Sezione II, 6 ottobre 2008 n 24696.

Il creditore continuerà ad avviare un’unica citazione in giudizio e ingiunzione di pagamento avverso il condominio e l’amministratore, suo legale rappresentante, dovendo procedere nei confronti dei singoli condomini nella sola fase del pignoramento. L’amministratore può chiedere al giudice un decreto ingiuntivo di pagamento avverso i condomini morosi. Se il valore della controversia non eccede 1.100 euro la domanda può essere proposta personalmente dall’amministratore (art. 82 c.p.c.), negli altri casi sarà sempre necessaria l’assistenza di un avvocato. Il decreto ingiuntivo per il pagamento di contributi condominiali risultanti dallo stato di ripartizione approvato dall’assemblea il decreto può essere richiesto con efficacia provvisoriamente esecutiva, perciò idoneo a fondare una esecuzione forzata anche in pendenza di eventuale opposizione presentata da controparte. In questo modo, il creditore può recuperare in tempi rapidi quanto dovuto e l’amministratore avere copertura per le altre spese determinate dalla morosità (spese di sollecito, legali, ecc), permettendo ai condomini di anticipare al peggio somme limitate. In alternativa, l’amministratore può come in passato procedere d’ufficio a ripartire i deficit di cassa, penali e interessi di mora notificati dai creditori, fra tutti i condomini, in base ai millesimi.

L’assemblea può denunciare l’amministratore per danno al condominio, ovvero il condomino può chiedere il risarcimento del danno, derivante dalla sua condotta negligente e omissiva che ha comportato il mancato o ritardato recupero del credito, in base agli artt. 1130 e 1131 c.c., che lo obbliga ad assicurare i servizi di condominio e alla riscossione dei contributi. Di nuovo, la norma è interpretabile in merito alla gestione delle morosità oppure alla sola riscossione non coattiva delle quote condominiali. La condotta sussiste ad esempio se non si è intentata alcuna azione avverso i morosi, oppure se l’amministratore non si è avvalso delle speciali tutele che la legge riserva ai crediti condominiali, a maggior ragione del fatto che questi non sono creditori privilegiati.

Se ripartisce i debiti pro quota, oppure se il credito è inesigibile e il recupero non va a buon fine, il condominio, se raggiunge l’unanimità dei presenti in assemblea, o i condòmini devono citare in giudizio i morosi, anticipare le spese legali e i terzi creditori in base ai millesimi, e recuperare il tutto solamente al termine del procedimento giudiziario.

Per adottare criteri di ripartizione diversi dalla proporzionalità (millesimi di proprietà), ad esempio per far anticipare il debito ai solo condomini non morosi, occorre all’amministratore una delibera assembleare (art. 1123 c.c.). La delibera deve essere approvata di norma all’unanimità, a maggioranza in situazione di urgenza, ad esempio se il creditore ha avviato azioni esecutive che, per un mancato pagamento del debito, comporterebbero l’interruzione di servizi di condominio, ovvero, anche in assenza di ingiunzioni di pagamento, se l’amministratore può provare che il mancato pagamento dei creditori comporta maggiori oneri per l’intero condominio, quali per l’aumento degli interessi di mora, o delle spese legali per il proseguimento della causa.

La responsabilità personale dei condomini per le obbligazioni deliberate dall’assemblea condominiale e dall’amministratore è una tematica oggetto di un dibattito che dura da 50 anni.In passato, la maggioranza dei provvedimenti della magistratura stabiliva che i condomini sono responsabili in via solidale nei confronti di qualunque creditore. Se un condòmino non pagava la propria parte di spese, l’amministratore, esercitando diritto di rivalsa se aveva anticipato la somma ai creditori, ovvero il creditore stesso potevano richiedere al tribunale un decreto ingiuntivo e procedere al pignoramento verso uno o più condomini a sua scelta, per il soddisfacimento del credito.

Come caso limite, poteva essere chiamato ad anticipare in tempi brevi l’intero importo mancante, ossia ingenti somme, un solo condòmino. La scelta poteva prescindere dalla sua condizione di reddito, dai millesimi di proprietà o dal fatto che avesse pagato la propria quota di spese condominiali. Infatti, la ripartizione del debito dell’inadempiente su tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà per evitare un eccessivo onere su pochi, era un’opzione che il creditore e l’amministratore potevano rifiutare.

Se un condòmino non pagava la sua quota di spese, un creditore poteva esercitare il diritto di rivalsa nei confronti di uno qualunque degli altri condomini, a sua scelta. Il provvedimento esecutivo poteva essere chiesto addirittura verso condomini non nominati nella sentenza. Tale condomino poteva esercitare il diritto di regresso nei confronti di quello insolvente, per la somma che aveva dovuto anticipare. I riferimenti normativi sono gli artt. 1123, 1294, 1295 e 1314 c.c. Non esiste, infatti, una normativa specifica in merito alla responsabilità dei condomini nei confronti di creditori terzi. L’art. 1123 c.c. indica che le spese per la conservazione e il godimento di parti comuni si ripartiscono in proporzione ai millesimi di proprietà e non specifica come fare se un proprietario ritarda o non paga le proprie quote. L’approvazione di criteri diversi da quello di proporzionalità deve avvenire all’unanimità, per cui l’assemblea dei condomini non può deliberare a maggioranza la costituzione di un fondo cassa/fondo morosità da utilizzare a compensazione delle rate mancanti, non può ripartire sui condomini non morosi le somme e relativi penali o interessi di mora dovuti alla condotta di singoli.

La Cassazione ha ammesso come unica eccezione una delibera a maggioranza in merito alla creazione di un fondo cassa, la situazione di urgenza che si crea quando il creditore notifica al condominio il precetto delle sue spettanze, e il mancato blocco dell’azione esecutiva comporta l’interruzione di servizi di condominio di particolare importanza, quali riscaldamento, ascensori, luci (Corte suprema di cassazione, sent. n. 13631 del 5 novembre 2001, pag. 2025).
Ciò vale a titolo provvisorio e temporaneo, salvo conguaglio a favore dei condomini non morosi e avvio da parte dell’amministratore delle iniziative necessarie per ottenere il pagamento degli oneri insoluti dal debitore.

Per il caso generale, gli artt. 1294 e 1295 c.c. indicano due modi alternativi per ripartire le obbligazioni: i condebitori sono tenuti in solido (art. 1294), i coeredi dividono l’obbligazione in proporzione alle quote (art. 1295). Secondo l’art. 1313, quando ci sono più debitori e l’obbligazione è la stessa, ciascuno è tenuto a pagare la sua quota di debito. La legge non menziona il criterio della divisibilità dell’obbligazione, per stabilire se la responsabilità sia solidale o meno, ma è quanto la giurisprudenza interpreta dagli artt. 1294 e 1313 c.c.

La Cassazione ha motivato la decisione constatando che il conferimento di un appalto da parte di una pluralità di committenti non è sufficiente perché si applichi l’art. 1294 del codice civile, relativo alla solidarietà fra condebitori. Oltre all’identica causa del debito, occorre anche la sua non-divisibilità, requisito che manca per le spese condominiali, che sono ripartite per millesimi. Alle obbligazioni condominiali deve applicarsi l’art. 1295 del c.c., simile alla ripartizione dei debiti fra coeredi.

Caso particolare a latere è la responsabilità solidale fra acquirente e vecchio proprietario. La giurisprudenza ha interpretato tale responsabilità in modo restrittivo rispetto al passato, confermando l’orientamento verso una responsabilità personale e non più solidale delle obbligazioni dei condomini. Il nuovo proprietario risponde in modo solidale col vecchio solamente per le spese deliberate e/o sostenute dal condominio nell’anno in corso e quello precedente l’acquisto, da solo per le spese più vecchie.

Interruzione dei servizi a godimento separato

Fra gli strumenti non giudiziali di autotutela del creditore, troviamo la possibilità per l’amministratore -ovvero per l’assemblea di condominio- di decidere per i condomini morosi l’interruzione dei servizi suscettibili godimento separato, anche essenziali quali per prima casa adibìta ad abitazione principale, e attuata con ingresso nei locali di proprietà del condomino[16], nel caso di morosità che si sia protratta per oltre un semestre (art. 15, l. 220/2012): parcheggio condominiale con sbarra elettrica, ascensore condominiale munito di chiavi, pulizia delle scale e servizi di portineria, acqua centralizzata, luce, riscaldamento, antenna TV, a patto che per la configurazione degli impianti, l’interruzione non comporta l’interruzione del servizio anche a condomini in regola coi pagamenti.

Così come è enunciata dalla legge, si tratta di una facoltà (e non di un obbligo) dell’amministratore, che quindi potrebbe anche non avvalersene prima di procedere a ripartire le somme mancanti pro quota fra tutti i condomini.
Il regolamento condominiale che vieti tale potere all’amministratore, sarebbe invalido.

La situazione è analoga anche per il caso frequente di un proprietario responsabile in solido per l’inquilino moroso. La giurisprudenza ha più volte stabilito che la responsabilità è personale, ovviamente e in primo luogo dell’autore di una condotta che viola il regolamento del condominio, e non “automaticamente” del proprietario. Ciò può per analogia essere fatto valere anche per i consumi di servizi “comuni” quali acqua e riscaldamento condominiali, e per il mancato pagamento delle relative spese
Il proprietario può chiedere all’amministratore una contabilizzazione separata per le spese straordinarie e per le spese ordinarie, e di inviare queste ultime all’inquilino che le pagherà direttamente al conto corrente del condominio.
Tutto ciò configura in diritto e di fatto la posizione dell’inquilino come parte avente soggettività giuridica da parte di e nei confronti del condominio, con la conseguente legittimità attiva e passiva ad agire in giudizio: in un qualunque rapporto di debito-credito, così come l’inquilino può contestare all’amministratore importo e natura delle spese ordinarie addebitate, così parimenti l’amministratore può in linea teorica (e nessuna norma lo vieta esplicitamente) agire in giudizio avverso l’inquilino moroso per il recupero del credito dovuto. Responsabilità solidale non significa certamente che sìa il proprietario a rispondere automaticamente di qualsiasi negligenza o morosità del locatario..

Locatori e inquilini

La responsabilità è in primo luogo dell’inquilino che viola il regolamento. Questi per primo deve essere informato dall’amministratore di eventuali segnalazioni o lamentele dei condomini.

A seguito di ripetute (e provate) segnalazioni degli altri proprietari, inquilini e/o dell’amministratore, per violazioni al regolamento, il locatore è tenuto a esercitare gli strumenti che la legge e il contratto di affitto mettono a sua disposizione per garantire il quieto vivere e il rispetto del regolamento, quali interventi di insonorizzazione ed isolamento acustico, che hanno un minimo costo aggiuntivo rispetto al solo isolamento termico; fino alla disdetta del contratto e sfratto per giusta causa dell’inquilino inadempiente.
Il non avere attivato lo strumento giuridico per riottenere la disponibilità dell’immobile rende a sua volta il locatore inadempiente all’obbligo del rispetto del regolamento di condominio, da ciò derivando la sua responsabilità nei confronti del condominio e degli altri condomini. In un eventuale causa civile, il locatore può essere chiamato in solido con l’inquilino al risarcimento danni verso gli altri condomini[17].

Sanzioni

La norma italiana non stabilisce:

  • le modalità di accertamento della violazione, in materia di multe condominiali, lasciando intendere che questa attività non è svolta dal giudice.
  • se la sanzione rientri nei crediti condominiali, e pertanto sìa esigibile entro sei mesi dalla chiusura del bilancio di esercizio. Né indica un diverso termine temporale, per evitare che l’interessato debba tutelarsi in merito a fatti commessi anni prima.
  • come gestire le violazioni al Regolamento da parte delle famiglie in affitto: solo i proprietari partecipano e ricevono le comunicazioni dell’assemblea, e tuttavia in sede civile e penale ognuno risponde della propria condotta individuale, e il proprietario solo in quanto non ha messo in atto iniziative di richiamo verbale e scritto, o di sfratto (dove possibile) verso l’inquilino negligente.

La legge n. 220/2012 art. 24[18] eleva le sanzioni massime (art. 70 disp. att. cc) applicabili stabilendo che: Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie.
L’assemblea di condominio può deliberare (all’unanimità) modifiche al Regolamento di condominio per introdurre sanzioni minori di quelle ammesse dalle legge per i trasgressori, restando invece inderogabili gli importi massimi.

Il d.l. n. 145/2013 (così detto decreto Destinazione Italia), il quale ha specificato che la sanzione può essere irrogata dall’assemblea con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti alla riunione ed almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.
L’amministratore ha il compito di riscuotere la sanzione irrorata dall’assemblea, mentre non può irrorare multe di propria iniziativa, per le quali è invece necessaria una delibera condominiale. Prima della riforma del 2012, non era necessaria la delibera dell’assemblea per irrorare sanzioni (art. 1131), dal 2012 non è più nemmeno obbligatorio che il Regolamento di Condominio preveda espressamente le sanzioni ovvero richiami il codice civile, anche se questa prassi rimane consigliabile.

Le sanzioni pecuniarie includono gli interessi di mora per il mancato e/o ritardato pagamento di rate condominiali.

Secondo un orientamento giurisprudenziale, l’amministratore è obbligato a irrogare tali sanzioni, se si considera che è tenuto (art. 1130) a “curare l’osservanza del regolamento del condominio al fine di tutelare l’interesse generale al decoro, alla tranquillità ed all’abitabilità dell’edificio” (Cassazione, sentenza n. 14735 del 26 giugno 2006), e soprattutto a “riscuotere i contributi […] per la manutenzione ordinaria delle parti comuni e per l’esercizio dei servizi comuni” (art. 1131, comma 3), potendosi verificare un probabile aggravio di queste spese a causa della condotta del condomino che non osserva il Regolamento, e che l’importo della sanzione è proprio per legge destinato al fondo per le spese ordinarie.

La riscossione è quindi responsabilità dell’amministratore, il sollecito scritto o telefonico non è obbligatorio prima dell’ingiunzione di pagamento, essendo sufficiente il rendiconto di bilancio dell’esercizio notificato ai condomini. Compete all’amministratore la scelta di affidare a un avvocato il compito dell’ingiunzione dei pagamenti.

In base all’art. 63, Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione. Non è quindi obbligatorio il procedimento di mediazione, né attendere 40 giorni dopo la notifica del decreto ingiutivo: già il giorno dopo la notifica, il creditore può procedere con espropriazione forzata. Non sono opponibli ai crediti condominiali i beni iscritti in apposito fondo patrimoniale. Nessuna tutela particolare, invece, è prevista per i proprietari nei confronti di un amministratore reo di appropriazione indebita dei denaro versato dai condomini.

È sufficiente un piano di ripartizione delle spese approvato dall’Assemblea, sia preventivo sia consuntivo: la presenza di un consuntivo di spese non è più condizione per l’ingiunzione di pagamento, né è richiesto il consenso dei condomini (Art. 63 disp. Att. codice civile, R.D. n. 318/1942, sentenze Cassazione n. 24299/08 e n. 6323/03). Vale però in generale che il credito deve essere certo, liquido ed esigibile: la certezza del credito si ha solo nel bilancio consuntivo di fine esercizio.

L’entità della sanzione può essere impugnata presso il giudice ordinario o di pace, che può ridurla anche d’ufficio (art. 1384, Cassazione Sentenza n. 18128/05 del 13/09/2005) se è manifestamente eccessiva o se il condomino ha parzialmente adempiuto alle sue obbligazioni e non è stata ridotta la sanzione a suo carico.

Normativa di interesse

Testo unico dell’edilizia e regolamenti comunali

Nel testo unico dell’edilizia vengono riportate le definizioni di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di ristrutturazione, di intervento di restauro ecc.; con clausola di cedevolezza alcune regioni hanno autonomamente legiferato. Nel testo unico sono inoltre elencati i casi in cui è necessario richiedere la “segnalazione certificata di inizio attività” (SCIA) oppure il “permesso di costruire“.

A livello comunale, ognie ente poi può avere propri regolamenti da rispettare. Possono essere, ad esempio:

  • Regolamento Urbanistico Edilizio;
  • Regolamento per la gestione dei rifiuti urbani;
  • Regolamento per gli scarichi delle acque reflue domestiche;
  • Regolamento per la disciplina delle occupazioni di aree private di uso pubblico per l’installazione di mezzi pubblicitari, fioriere, tende parasole e dehors;
  • Regolamento sulla Toponomastica Comunale – numerazione civica;
  • Regolamento comunale del verde (abbattimento alberi in proprietà privata);
  • Regolamento di igiene, sanità pubblica e veterinaria (malattie, cani, gatti, aria, amianto, canne fumarie, rumore, acqua potabile);

Manutenzione ordinaria e straordinaria – Sicurezza nei Cantieri

Nel caso di manutenzione ordinaria e straordinaria il condominio si trasforma in cantiere temporaneo e pertanto, nel caso siano presenti due o più imprese esecutrici, è necessaria la redazione del piano di sicurezza e coordinamento. Rientra tra i doveri dell’amministratore la conoscenza del Titolo IV del Testo Unico della sicurezza, nel quale vengono riportati gli obblighi del committente e del responsabile dei lavori; ogni qual volta l’amministratore di condominio stipula un contratto di appalto deve assicurare l’idoneità tecnica professionale delle imprese nei modi prescritti dall’articolo 90 e dall’allegato XVII. L’articolo 99 prescrive i casi in cui bisogna inviare la notifica preliminare all’Unità Sanitaria Locale.

Decreto 22 gennaio 2008, n. 37 – installazione degli impianti all’interno degli edifici

Il decreto si applica agli impianti posti al servizio degli edifici, indipendentemente dalla destinazione d’uso, collocati all’interno degli stessi o delle relative pertinenze. Gli impianti sono: impianti elettrici, di riscaldamento, per la distribuzione e l’utilizzazione di gas, di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili, di protezione antincendio. Il decreto provvede a regolamentare le imprese abilitate, la progettazione degli impianti, la realizzazione ed installazione degli impianti, la dichiarazione di conformità, gli obblighi del committente o del proprietario, il certificato di agibilità, la manutenzione degli impianti.

Gestione della sicurezza antincendio – Autorimesse

Il decreto ministeriale del 10 marzo 1998 stabilisce i criteri per la valutazione dei rischi di incendio nei luoghi di lavoro ed indica le misure di prevenzione e di protezione antincendio da adottare al fine di ridurre l’insorgenza di un incendio o di limitarne le conseguenze qualora si verifichi; gli articoli 4, 5 e 6 chiariscono rispettivamente: quale debba essere il controllo e la manutenzione sulle attrezzature antincendio, la gestione dell’emergenza e il metodo di designazione degli addetti al servizio antincendio. Il decreto legislativo dell’8 marzo 2006 n. 139 definisce il metodo con il quale richiedere ai Vigili del Fuoco il Certificato di Prevenzione Incendi (CPI), necessario nel caso, per esempio, delle autorimesse con più di 300 m². (D.P.R. n. 151 del 1º agosto 2011). Le autorimesse devono rispettare i requisiti minimi di sicurezza indicati dal Decreto Ministeriale 1º febbraio 1986. Il D.P.R. n. 151 del 1º agosto 2011 e il D.M. n. 201 del 7 agosto 2012 sono i regolamenti recante la disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi. Il decreto ministeriale del 20/12/2012 stabilisce le nuove regole tecniche per la progettazione, costruzione e manutenzione degli impianti attivi armonizzate con quelle europee.

Attestati di Qualificazione/Certificazione Energetica – Acustica

L’amministratore di condominio, in caso di lavori di manutenzione condominiale, deve verificare la rispondenza dell’edificio alla Legge n. 192/2005 e s.m.i. o alle rispettive leggi regionali e deve eventualmente aggiornare gli Attestati di Qualificazione/Certificazione Energetica. Il certificato energetico ha validità decennale.

Altre forme

In Italia sono diffuse due tipi particolari di condomini, il Supercondominio e il Condominio Parziale

Supercondominio

Il supercondominio, anche conosciuto come condominio complesso o condominio orizzontale, generalmente, riguarda un complesso immobiliare composto da più edifici (ciascuno dei quali di norma costituito in condominio), caratterizzato dalla presenza di cose, servizi e aree comuni cui siano applicabili le norme sul condominio. Ad esempio una serie di condomini che condividono gli stessi viali di accesso, aree parcheggi, impianti idrici ed elettrici comuni. Anche se continuano a nascere nuovi supercondomi, la riforma del Condominio li ha esclusi, anche se in giurisprudenza e nella pratica si trovano ormai frequentemente. Visto che al supercondominio si applicano le stesse norme relative al condominio, si deve procedere a convocare un’assemblea, redigere un regolamento condominiale e un amministratore.

Condominio parziale

Il condominio parziale nel caso di gestione separata di un bene che, per obiettive caratteristiche funzionali, è destinato al servizio e/o al godimento di una parte soltanto dell’edificio in condominio. La cassazione, con sentenza n°10483 del 21-5-2015 ha stabilito che è configurabile il condominio parziale, ogni volta che un bene è destinato al servizio e al godimento in modo esclusivo di una parte dell’edificio del condominio.

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